Sovranità, libertà, piena
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IL
CONTATORE DEL DEBITO PUBBLICO DELL’ISTITUTO BRUNO LEONI. (di
Marco Cavedon, postato il 09/03/2018)
Dal
13 febbraio 2018 fino alla fine della campagna elettorale, sugli schermi
Maxi-Led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina
è apparso il “contatore del debito pubblico” di cui all’immagine sottostante. Si
tratta di un’iniziativa promossa dall’Istituto Bruno Leoni (che di seguito
per semplicità chiameremo IBL), una think
tank neoliberista nata nel 2003 per promuovere “le idee del libero
mercato”. Nella
home page del loro sito compare ancora questo fantomatico contatore, che
rappresenta una stima dello stock del debito pubblico italiano basata sui
rapporti mensili della Banca d’Italia. Accedendo
all’apposito link, è possibile leggere le motivazioni con le quali
l’Istituto Bruno Leoni ha difeso la sua mistificatoria propaganda, alla quale
ora risponderemo punto per punto alla luce dei concetti macroeconomici della Modern Money Theory (di seguito
MMT per semplicità). 1)
Quali sono i rischi di un elevato debito pubblico ? IBL. Un
alto rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, specialmente nei
paesi con bassi tassi di crescita, fa sì che ci siano maggiori difficoltà nel
finanziare la spesa pubblica; la spesa per interessi aumenta. Inoltre, in
queste condizioni il rischio di turbolenze sui mercati è più elevato. MMT. Niente di tutto ciò è vero.
Le condizioni di cui sopra si verificano solo nel caso si parli di uno stato che
non utilizza una sua moneta fiat sovrana (qual è la condizione attuale delle
nazioni dell’eurozona, che possono concretamente “finire i soldi”), mentre uno stato sovrano di una sua valuta
non avrà mai difficoltà ad onerare i titoli che vende, in quanto
denominati nella valuta unità di conto che lui stesse emette ed è l’unico che
lo può fare. Uno stato a moneta
sovrana prima emette la medesima e solo dopo la può ritirare con la
tassazione o la vendita di titoli, che per questo motivo non sono affatto
un qualcosa di necessario per finanziare la spesa pubblica. Per ulteriori
approfondimenti leggi qui
e qui. 2.
Ci sono nazioni con un alto debito pubblico in cui tutto sembra andare
benone, il Giappone o gli Usa, ad esempio; perché non possiamo farlo anche
noi? IBL. MMT. Anche
in questo caso la propaganda mistificatoria di questo istituto raggiunge
l’apice. Abbiamo prima affermato che uno stato a moneta sovrana è il primo e
il solo che può creare e spendere la sua valuta e di conseguenza immetterla
nel circuito privato di famiglie, aziende e banche (il cosiddetto settore non
governativo). Di conseguenza, prima
che ci possa essere un PIL (cioè un prodotto
interno lordo, o reddito interno) a
monte ci deve essere la spesa dello stato sovrano. Il rapporto debito
pubblico su PIL è un parametro insignificante da un punto di vista
macroeconomico. Lo stato sovrano della sua valuta non ha affatto bisogno
di aspettare che il settore privato generi un reddito interno (PIL) da cui
poter attingere le risorse per onorare i suoi debiti, anzi, prima deve
spendere la sua valuta e solo dopo i cittadini di quella nazione la possono
utilizzare per realizzare le transazioni finanziarie tra di loro. Va
comunque sottolineata la realtà delle nazioni che hanno rinunciato
alla propria sovranità monetaria, per le quali il debito pubblico può
realmente costituire un problema. Comunque,
anche “stando al gioco” dell’IBL, se il debito pubblico degli USA è inferiore
al nostro, non lo stesso si può dire di quello del Giappone, che rappresenta
il 250,4
% del PIL. Per quanto riguarda invece i tassi di crescita, non risulta
affatto che essi siano tanto diversi da quelli dell’Italia, soprattutto per
quanto riguarda il Giappone (vedere i seguenti grafici). 3.
”Al debito pubblico corrisponde un credito privato" di chi ha acquistato
titoli di Stato. Cosa c'è di male? Le due cose non si compensano? IBL. MMT. Anche
in questo caso si tratta di considerazioni completamente sbagliate. Come
sopra abbiamo più volte evidenziato, è palesemente
scorretto paragonare lo stato (inteso come enti governativi di una nazione)
al singolo attore economico privato. Il primo infatti in condizioni
normali (cioè quando è sovrano di una sua moneta) deve agire a livello macroeconomico immettendo con la spesa pubblica
nel settore di famiglie ed aziende più soldi di quanto incassa con la
tassazione, altrimenti queste non godranno di alcun attivo e non potranno
avvenire gli scambi finanziari tra i singoli attori privati. Il debitore privato invece non può
creare legalmente il denaro e pertanto (ma solo per lui) vale la regola
della microeconomia in base alla quale per poter spendere e ripagare i debiti
deve prima risparmiare. Le
politiche di austerity (la riduzione drastica della spesa pubblica sopra
richiamata, con innalzamento delle tasse) imposteci dall’Unione Europea al contrario
sono le sole e vere responsabili della crisi dell’eurozona, perché agire in
maniera pro-ciclica quando l’economia è in recessione porta ad un aggravarsi
della situazione, con diminuzione ancora più accentuata della domanda
aggregata, chiusura di aziende, aumento della disoccupazione, ulteriore
riduzione di domanda…la cosiddetta spirale
deflazionistica che i paesi non sovrani della loro moneta non possono
risolvere. 4.
Non basterebbe tornare a una "moneta sovrana" per eliminare il
problema del debito? Non sarebbe allora possibile rifinanziarlo all'infinito? IBL. MMT. Cioè
vale a dire, al danno si aggiunge la beffa. In verità è proprio ora che siamo in eurozona che gli stati corrono
il rischio di finire i soldi e di incorrere in default, con conseguente
danno per i risparmiatori. Uno stato sovrano della sua valuta
invece è sempre solvibile nei confronti dei mercati dei
capitali, in quanto mai può finire il denaro per onorare anche i debiti che
lo stesso si auto-impone di emettere. Una svendita generale dei titoli dovuta
ad una paura irrazionale potrebbe certamente far calare il loro valore, a
fronte però di maggiori interessi richiesti, per pagare i quali lo stato
sovrano non avrà alcun problema. Inoltre è possibile agire a livello di
politiche monetarie, imponendo ad esempio alla banca centrale di pagare
interessi negativi sui conti riserva detenuti dalle banche presso di essa e
invogliando quindi le stesse ad investire acquistando i titoli di stato
italiani. La
banca centrale di un’Italia nuovamente sovrana, come giustamente sopra
richiamato può comprare all’infinito i titoli di stato dalle banche
difendendone il valore e calmierando gli interessi e questo non può in alcun
modo portare ad inflazione, in quanto si tratta di riserve immesse nei soli
circuiti finanziari che, per poter essere concesse come crediti all’economia
reale, necessiterebbero di politiche
fiscali espansive (spesa pubblica in deficit) per creare maggiore domanda
aggregata; cosa che sarebbe salvifica per quanto riguarda la nostra economia,
considerata l’alta percentuale di fattori produttivi non impiegati
(disoccupazione pari all'11%) che potrebbero benissimo far fronte ad un
aumento del potere di spesa da parte della popolazione. Di
seguito vediamo due chiari esempi di come le politiche di Quantitative Easing (acquisto sul mercato secondario di titoli di
stato da parte della banca centrale) applicate negli USA e in eurozona non
abbiano affatto creato alta inflazione. La
BCE da marzo 2015 sta effettuando acquisti di titoli di stato per una valore
di 80
miliardi al mese (60 miliardi da aprile 2017, vedi qui);
ecco l’andamento dell’inflazione nello stesso periodo: Si è passati dalla deflazione ad una miserrima inflazione dell’1,6%,
ben al di sotto quindi dell’obiettivo della BCE pari al 2% (niente
iperinflazione quindi). Per gli USA, il Quantitative Easing termina
nel mese di ottobre 2014 e dal 2013 al 2014 si assiste ad un’impennata
degli asset in possesso della FED (la banca
centrale americana, vedi qui).
Guardiamo l’andamento dell’inflazione nello stesso periodo: Stabile
al di sotto del 2% e addirittura in diminuzione. Consiglierei pertanto
all’IBL, se veramente fosse interessato a fare vera informazione (e ho dei
seri dubbi a tal proposito) di lasciare stare i falsi miti neoliberisti ed
andare semplicemente a guardare i dati reali facilmente reperibili in rete. Fa
poi sorridere (per non dire piangere) l’affermazione secondo la quale
l’Italia ai tempi della lira sarebbe stata colpita da iperinflazione. Anche
qui basta semplicemente andare a guardarsi la definizione esatta di “iperfinflazione”: generalmente si parla di iperinflazione
quando il tasso di crescita del prezzo medio del paniere di riferimento dei
beni e servizi supera il valore mensile del 50% (vedi qui),
situazione che non risulta si sia mai verificata nell’Italia Repubblicana,
nemmeno in coincidenza delle crisi petrolifere degli anni ’70 del secolo
scorso, che allo stesso modo colpirono altre economie importanti quali USA e
Gran Bretagna. Anzi, nonostante
un’inflazione del 21,8%, l’Italia del 1980 era in assoluto il paese più ricco
al mondo, con un risparmio medio delle famiglie pari al 25% del
reddito disponibile annuale, valore che si è ridotto al 3,2% nel 2016,
nonostante un’inflazione negativa del -0,1% (dati OCSE, FMI ed AMECO). Per
ulteriori approfondimenti, vedi qui. In
conclusione, è triste notare come anche un periodo assai delicato e critico come
quello delle campagna elettorale, che in una vera democrazia dovrebbe essere
caratterizzato dal pluralismo dei punti di vista e da una corretta
informazione, sia invece stato
pesantemente condizionato dai media mainstream e
dal solo pensiero neoliberista della finanza speculativa, che ora domina
l’intero mondo occidentale (e non solo)
e ha reso possibili episodi come questi. |
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