Sovranità, libertà, piena
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Referendum
sull’autonomia di Veneto e Lombardia del 22 Ottobre 2017. Alcune
considerazioni. (di Marco Cavedon,
postato il 27/10/2017) Il 22 Ottobre 2017 si sono svolti due referendum consultivi sull’autonomia
delle Regioni Veneto e Lombardia, in base quanto previsto dagli articoli
5 e 116 della Costituzione della Repubblica Italiana. La concessione di
ulteriori forme di autonomia alle regioni è possibile per alcune competenze
dello stato nominate nel comma 2 dell’articolo 117, nonché sulle materie di
legislazione concorrente nominate nel comma 3 del medesimo articolo, tra cui
rientra anche la voce “coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario”. In particolare questo
punto è molto importante dal momento in cui vari movimenti politici lamentano
l’alta tassazione a cui sono sottoposte le regioni del nord più ricche
economicamente, che versano ogni anno allo stato centrale più di quanto
ricevono dallo stesso (il cosiddetto residuo fiscale, vedi qui). I risultati di tali consultazioni sono stati
in entrambi i casi positivi, soprattutto in Veneto dove è stato superato il
“quorum” del 50% degli aventi diritto al voto ed i SI’ sono stati quasi
unanimi (vedi qui). In molti
tuttavia travisano il significato del termine “autonomia fiscale”, dal momento in cui si ritiene che il denaro venga prodotto
grazie alla laboriosità del sistema produttivo privato all’interno di un dato
territorio e di conseguenza lo stato si impossessa delle risorse, per
spenderle nelle regioni più povere o meno produttive e questo viene
generalmente visto come un qualcosa di negativo, una forma di
assistenzialismo che alla fine non permette a queste aree di godere di un
vero sviluppo. In questa sede non ci occuperemo di
affrontare il problema appena accennato (invero assai complesso e per nulla
scontato), ma di chiarire quali sono le reali
condizioni per cui si possa parlare di vera autonomia fiscale. Ebbene, questa
ci può essere solo con sovranità monetaria, dal momento che in condizioni
normali è lo stato che emette la valuta tramite una banca centrale e non il
settore privato. Si travisa quindi da parte di questi movimenti politici che
parlano di residuo fiscale e di autonomia il reale significato della moneta,
in quanto un vero stato sovrano prima
di raccogliere i soldi con le tasse deve necessariamente spenderli,
conferendoli al settore privato non governativo di più di quanto tassa per
generare il suo attivo e solo questa può essere la via attraverso la quale un
governo può far prosperare l’economia di una determinata comunità. Va tuttavia precisata l’attuale condizione
dello stato Italia. Oggi non siamo più sovrani di una nostra moneta e tutti i
soldi che il governo centrale spende è costretto a chiederli in elemosina ai
mercati dei capitali privati, i soli che possono essere finanziati
direttamente dalla Banca Centrale Europea in base al Trattato di Maastricht.
Le regole europee impongono altresì restrizioni ai deficit e al debito
pubblico, con conseguente diminuzione dell’attivo del settore privato ed alta
tassazione che deprime sia le aree povere che quelle ricche del paese. Ecco che in tale condizione anche un
referendum che chiede più autonomia (anche se non dal punto di vista
monetario ma delle tasse) può essere utile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un’Italia nuovamente sovrana
della sua lira e libera dai trattati europei, con la possibilità di
spendere a deficit e di lasciare sul territorio con la spesa pubblica più
soldi di quanti ne distrugga con la tassazione. Ricordiamo che uno stato sovrano prima emette la sua
moneta e solo dopo tassa e non certo per finanziare la sua spesa, ma per
regolare l’economia, abbassando il deficit se la domanda è maggiore della
capacità produttiva, innalzandolo se i prodotti non vengono venduti ed
aumenta la disoccupazione. Uno stato
sovrano non ha alcuna necessità di tassare a morte le aree ricche del paese
per aiutare quelle più povere e ciò può
essere anche controproducente, primo perché ribadiamo che le tasse con
sovranità monetaria non hanno la reale funzione di finanziare la spesa
pubblica, secondo perché questo può far sì che le zone più ricche sviluppino
meccanismi basati su politiche di alta competitività con contenimento delle
pretese salariali e dei diritti dei lavoratori, realtà molto sentita nel
Veneto la cui economia è costituita soprattutto da piccole e microimprese
sotto i 10 dipendenti (vedi qui),
per le quali mai si sono applicate le tutele dell’articolo
18 dello Statuto dei Lavoratori. Bene pertanto in tali condizioni spronare lo
stato a stracciare i trattati europei per applicare una maggiore spesa a
deficit e tutelare la domanda interna,
la componente maggioritaria del PIL di tutti i paesi avanzati e la sola che
può far sì che le aziende non si gettino nella gara al massacro della
competitività globale, al fine di esportare beni che saranno goduti da
altri e non dalla nostra popolazione. Comment
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